LO STATO DI FLOW

PSICOLOGIA DELLO SPORT: LO STATO DI FLOW

By Pianeta Running

Quasi tutti gli atleti, professionisti e dilettanti, hanno sperimentato nella loro carriera sportiva, una condizione psicofisica particolare, in cui la loro prestazione sportiva sembrava fluire senza sforzo apparente, una specie di momento magico in cui tutto funzionava alla perfezione oltrepassando i normali standard individuali di rendimento sportivo. Questa esperienza, viene definita come stato di “flow”, ed è caratterizzata da sensazioni di scioltezza fisica, associate ad un completo e totale assorbimento in quello che si sta facendo, un senso di potenza, di soddisfazione profonda, di benessere e di gratificazione, una sintesi tanto perfetta quanto inaspettata delle proprie risorse personali.

L’atleta quando riesce ad entrare in questo stato di attivazione, vive un coinvolgimento totale nella prestazione sportiva, trovandosi in una condizione di equilibrio perfetto tra le abilità personali e le richieste dell’evento sportivo, profondamente convinto di essere in grado di affrontare e spesso di vincere la sfida sportiva che lo attende.

In assenza di tale equilibrio, verrebbero invece vissuti stati mentali non ottimali quali noia (compito poco stimolante rispetto al suo grado di abilità) ed ansia (l’atleta percepisce il compito come superiore alle proprie capacità).

Lo stato di FLOW è spesso il precursore di una prestazione eccellente o peak performance, descritta da atleti praticanti diverse attività sportive, in tre categorie esplicative, caratterizzate da:

Controllo psicofisico totale
L’atleta sperimenta una sensazione di totale padronanza dei propri mezzi atletici, e si percepisce in grado di compiere qualsiasi azione, come se questa fosse una conseguenza naturale, uno stato predeterminato, in cui non esistono dubbi e paura ma solo un intenso stato di euforia e fluidità che portano con naturalezza alla perfezione del gesto tecnico/tattico.

Consapevolezza focalizzata
L’attenzione è perfettamente focalizzata sulla prestazione, è completamente centrato sul compito, fino ad avvertire una distorsione spazio – temporale dell’esperienza. Ad esempio gli avversari possono essere “visti” come più piccoli, lenti e prevedibili; certe azioni di gioco sembrano già vissute in passato e\o come se fossero vissute al rallentatore, grazie al quale pochi istanti vengono percepiti come infiniti.

Unità con se stessi
E’ un’esperienza di totale coinvolgimento nel presente, una sensazione di armonia con quanto sta accadendo: a questo livello di intensità c’è un’assenza di valutazione critica degli eventi esterni, a favore di una semplice e naturale esecuzione psicofisica;
Questo tipo di esperienze sono una delle sostanziali differenze tra gli atleti vincenti e quelli perdenti. Gli atleti vincenti hanno imparato nel tempo a riconoscere, in modo più o meno intenzionale, il loro stato psicofisico ideale, precursore dello stato di flow, per riprodurlo a vantaggio del loro rendimento sportivo. Ovvero hanno la capacità di “accendersi” agonisticamente, ne troppo presto ne troppo tardi, ma nell’istante in cui la loro prestazione sta per iniziare.

Se è vero che molti atleti sono in grado di applicare spontaneamente strategie mentali nell’approccio alla gara (es. routine pre-gara) per ricreare le percezioni ideali alla prestazione, è altresì vero che altri atleti hanno invece bisogno di perfezionare tecniche psicofisiche di attivazione (es. respirazione ritmata, visualizzazione e self talk) che gli permettano di essere pronti ad inizio gara.
Una spiegazione fisiologica dello stato di flow, deriva dal fatto che in tali situazioni l’atleta utilizza in modo completo e simultaneo le potenzialità di entrambi gli emisferi cerebrali.
Gli emisferi presentano infatti un certo tipo di specializzazione, per certe specifiche funzioni: l’emisfero sinistro è la sede della razionalità da cui derivano apprendimento motorio e perfezionamento del gesto tecnico, mentre l’emisfero destro è principalmente coinvolto con l’emotività e per questo abilitato all’elaborazione delle immagini ed all’esecuzione di movimenti automatizzati. L’atleta deve imparare a riconoscere quando analizzare una situazione e quando invece è il momento di eseguire meccanicamente, passando da una fase all’altra in modo rapido ed efficace.
Credo che questa sia una delle possibili aree di confine tra la psicologia e lo sport, professionistico o dilettante che sia, in cui si possa collaborare insieme per costruirnuove competenze a vantaggio prima dell’uomo che pratica sport e poi dell’uomo-atleta, agonista per professione.